1832
Grigore Alexandrescu
Adio. La Tîrgovişte [Addio. A Tîrgovişte]
Sdraiato su queste rovine, sotto le quali sprofondata
C’è la gloria antica e l’ombra degli eroi,
Nella quiete, nel silenzio, vedo il mondo dormiente
Che di notte dimentica sventure e necessità.
Ma chi s’ode e quale suono è questo?
Quali uomini o quali armi e quale rapido passo?
La terra scuote il bellicoso tuono,
Rumore di coorti, sussurri, passa, sibila una voce…
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Ma dov’è tutto questo? È sparito! È stato illusione,
Ché le armi, le prodezze e tutto hanno taciuto.
Così ogni grandezza annientata sparisce!
La nostra, di Palmira e di Roma è passata.
E su quella terra, di cui un tempo
Si spaventavano i tiranni tremanti di paura,
Il ladro della notte viene e uccelli nefasti volano,
Sui monumenti passa il pastore fischiando.
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Mi alzo, vado via da qui; porto i miei passi,
Che sfiorano il sentiero, in fondo a un boschetto.
E lascio questi sepolcri con gravi ricordi.
Sui quali non ho abbastanza lacrime per piangere.
Qui ho speranza di trovare piacere;
Io voglio udire l’onda e guardare il cielo,
Vedere dell’aurora l’assai lieto sorriso,
I raggi del mattino che rendono d’oro le nuvole;
Qui querce con fierezza si levano, si rivolgono,
Salendo i loro rami verso le azzurre pianure;
Qui i pioppi con le fronde una valle incoronano;
Là si vedono colline, e qui vigne selvatiche.
Dalla costa di queste rocce, dalla vetta di questo monte,
Da dove l’aquila spicca il suo volo,
La stella della notte getta luce sulla mia fronte
E il suo raggio si riflette sulla chiara fonte.
Qui lo zefiro gioioso fra le fronde adagio sospira;
Qui l’orizzonte è dolce, luminoso;
Qui questi fiumi… Ma la loro onda è quieta,
E la mia anima è fra le onde, non ho sole pacioso.
Dal petto di mia madre, nato fra tormenti, sventure,
L’angustia è stata la mia culla, di lacrime mi son nutrito,
Come flutti del mare e terribili marosi,
Dal vento della mala sorte sulle rocce son stato spinto.
Ora ovunque soffermo il mio sguardo,
Ma i miei occhi piacere non incontrano affatto,
Ché nessuno sente il mio orribile dolore,
E la gente passando mi scansa.
Così! così! caro, è andato via il mio adorato bene;
Vedendo che non mi rimane piacere sulla terra,
Vedendo che per me sono finiti i giorni quieti,
Poso la mano sulla fronte e cerco un sepolcro.
Dei giorni trascorsi, dell’antica felicità,
Della mia età dell’oro, del mio santo amor,
Illusioni soltanto son rimaste, come una visione
Rimane al mattino dei sogni che volano;
Così, senza dubbio, la mia amara vita
Da adesso è per me sterile sabbia,
Che l’estate inaridisce e l’inverno ghiaccia
E nessun fiore trova il misero viandante.
Pur tuttavia il ricordo delle creature amate
Sarà nell’anima mia per sempre presente
Come le foglie portate da bufere scatenate
Al loro antico gambo che un tempo le ha sorrette.
Dai vostri sogni, illusorie speranze,
Ora oltre modo mi vedo saziato;
Fuggite, giorni fatui, che ansie che uccidono
La mia giovane età veloci avete raccolto.
Quando d’autunno si mostra il freddo sole invernale,
Gli alberi carichi di dolore perdono le foglie, seccano;
Al pari avendo la sfortuna seccato il fiore della mia età,
Dico al mondo addio: prendo la lira e vado via.
(Gr. Alexandrescu, Adio. La Tîrgovişte, în Id., Opere, I, Text stabilit, note, comentarii şi variante de I. Fischer, studiu introductiv de I. Roman, Poezii, Minerva, Bucureşti, 1972, pp. 249-252)