1842
Grigore Alexandrescu
Umbra lui Mircea. La Cozia [L’ombra di Mircea. A Cozia]
Le ombre delle torri sulle onde sono distese;
Verso la sponda contraria si stendono, si prolungano,
E generazioni spumanti di onde superbe
L’antico muro del monastero a intermittenza battono.
Da un antro, dal dirupo, la notte esce, mi circonda:
Dalla cresta, dalla roccia, immagini nere calano;
Il muschio del muro si muove… fra l’erba s’insinua
Un respiro, che passa come un brivido nelle vene.
È l’ora dello spettro: un sepolcro di svela,
Un fantasma incoronato da esso esce… lo scorgo…
Esce… viene verso la riva... sta… si guarda dintorno…
Il fiume indietro si ritrae… i monti la vetta scuote.
Ascoltate…! Il grande fantasma fa segno… ordina
Armate, schiere innumeri nei suoi pressi appaiono…
La sua voce si tende, cresce, ripetuta di pietra in pietra,
Lo ode la Transilvania, i magiari si armano.
Tu, Olt, che sei stato testimone delle prodezze trascorse
E possenti legioni sulla tua riva hai visto,
Grandi virtù, azioni terribili a te son note,
Chi può mai essere l’uomo che ti ha spaventato?
È lui, come lo rivela la sua spada e l’armatura,
Cavaliere della fede, o padrone del Tevere,
Traiano, onore di Roma che lotta con la Natura,
Gigante è della Dacia, o è Mircea il Vecchio?
Mircea! mi risponde la collina; Mircea! l’Olt ripete.
Questo suono, questo nome le onde accolgono;
L’un l’altra lo dicono; il Danubio lo apprende,
E le sue onde spumanti verso il mare lo spingono.
Salve, antica ombra! Accogli la riverenza
Dei figli della Romania che tu hai onorato:
Noi veniamo il nostro stupore sul tuo sepolcro a deporre;
I secoli che fagocitano stirpi il tuo nome hanno nutrito.
La tua brama fu indefessa, costante il tuo zelo:
Fino alla fonda vecchiaia i rumeni rincuori;
Ma, ahimé, non ha dato la sorte di coronare il tuo desio,
E il tuo nome in eredità alla libertà lasciare.
Ma con i tuoi fragili mezzi le tue gesta son prodigiose:
La causa, non il risultato, lodi ti ha procacciato:
La tua impresa fu giusta, è stata nobile e grande,
Perciò il tuo nome sarà prezioso e immacolato.
In quel rifugio di pietra, sentiero che porta all’eternità,
Dove tu forse pensi al popolo che hai amato,
Quale piacere hai provato quando di Mihai la moglie
A narrarti è venuta gesta che l’hanno celebrato!
Noi leggiamo le vostre battaglia, quando vediamo l’antica armatura
Che un tempo in guerra un gigante ha portato;
Il suo peso ci opprime, soverchia la nostra debole misura,
Ci chiediamo se davvero tali uomini siano esistiti.
………………………………………………..
Sono trascorsi quei tempi, tempi di spendide gesta,
Sebbene amare e tristi; leggi, costumi si mitigano;
Nella scienza e nelle arti le nazioni s’affratellano
Nell’idea e nella pace il sentiero della gloria trovano.
Ché la guerra è sferza terribile, che ama la morte,
E i suoi insaguinati allori le nazioni pagano;
È ira del cielo, è fuoco che strugge
Le macchie fiorite, e le foreste che lo nutrono.
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……………………………………………….
Ma il manto nero della notte sulle colline s’allarga,
A occidente si radunano nubi, come veste si tendono;
Sulle onde e nel firmamento l’oscurità domina;
Tutto è terrore e silenzio… l’ombra entra nel sepolcro.
Il mondo è in attesa… le alte torri
Come fantasmi di grandi secoli i loro eroi piangono;
E generazioni spumanti di onde superbe
L’antico muro del monastero a intermittenza battono.
(Gr. Alexandrescu, Umbra lui Mircea. La Cozia, în Id., Opere, I, Text stabilit, note, comentarii şi variante de I. Fischer, studiu introductiv de I. Roman, Poezii, Minerva, Bucureşti, 1972, pp. 10-12)
Toporul şi pădurea [L’ascia e il bosco]
Prodigi oggidì non vedo farne più,
Ma che un tempo abbiano parlato il legno e gli animali
Non c’è dubbio; perché se così non fosse stato,
Neppure si sarebbe raccontato.
E i cavalli d’Achille, che profeti erano,
Certo che sono esistiti, dal momento che lo tiravano.
Il fatto che conosco e voglio raccontare
Me lo ha narrato un vecchio al qual porto rispetto
E che mi ha detto
Che anche lui lo ha saputo
Dagli avi suoi,
I quali avi dicevano che anch’essi lo sanno
Da un altro avo, che più non vive
E dei suoi avi, in verità, non posso dirvi.
In un bosco antico, in che luogo non importa,
Un contadino era andato a far la legna per la casa,
Dovete sapere però, e posso darvene prova,
Che a quel tempo l’ascia non aveva il manico.
Così è l’inizio di ogni cosa: Il tempo compie
Ciò che l’uomo inventa e lo spirito partorisce.
Così il nostro contadino, solo con in mano il ferro,
Iniziò a deturpare il vecchio bosco.
Cespugli, platani, querce molto si spaventarono:
“Cattiva novella, amici, prepariamoci a morire,
Iniziarono a dire, l’ascia è vicina!
In fondo a una stufa il contadino ci seppellirà!”
- “C’è uno dei nostri ad aiutarlo?”
Disse una grande quercia, che aveva trecent’anni
E che sola stava da una parte.
-“No.” – “State calmi: stavolta abbiamo fortuna;
L’ascia e il contadino non faranno altro,
Che sfiancarsi.”
La quercia ebbe ragione.
Dopo molta fatica, tentativi prolungati,
Menando a destra e a manca, con poco frutto,
Il contadino se ne tornò senza successo.
Ma quando l’ascia ebbe un manico di legno forte,
Da soli potete giudicare quale triste fatto.
Questa storia, se fosse vera,
A me sembra dire
Che in ogni paese
I peggiori guai non da fuori vengono,
Non li recano gli stranieri, ma tutte li combinano
Un nostro concittadino, un parente o un fratello
(Gr. Alexandrescu, Toporul şi pădurea, în Id., Opere, I, Text stabilit, note, comentarii şi variante de I. Fischer, studiu introductiv de S. Iosifescu, Bucureşti, ESPLA, 1957, pp. 195-196)
Dimitrie Bolintineanu
O fată tînără pe patul morţii
[Una giovane fanciulla sul letto di morte]
[traduzione al momento non disponibile]